6 luglio 2025 - IV Domenica dopo Pentecoste

Omelie festive

Matteo 5,21-24


1. La genealogia del peccato

Il capitolo quarto del Genesi narra del fratricidio consumato ai danni di Abele,
il cui nome significa “l’inconsistente”, cioè che dura poco.
Ritroviamo la stessa radice nel Qohelet, dove l’autore dice che tutto è vanità:
tutto è inconsistenza, fugge, svanisce.
I primi undici capitoli del Genesi narrano la genealogia del peccato,
il suo diffondersi a macchia d’olio dalla coppia all’intera società.
Il male è così, dice l’autore sacro: se non lo si domina dilaga.
Caino rifiuta la responsabilità della vita del fratello,
viola il codice originario: tu non ucciderai.
E’ così che il male esonda dalla mente arrivando alla mano omicida.
Se si continua a leggere il quarto capitolo del Genesi dal v, 17 in poi,
si nota come Caino è visto dallo scrittore come colui che dà l’avvio,
con la sua discendenza, alla cultura (trasformazione del mondo)
e alla scienza, certo ancora aurorale e legata al suo tempo.
Caino costruirà Città, dimenticando di prendersi cura
del giardino originario dove l’uomo è stato creato.
Dunque la lettura contiene una venatura pessimistica
nei confronti delle capacità dell’uomo di manipolare il mondo.
Cultura e scienza sono buone, ma sono anche realtà ambigue,
perché legate alla coscienza umana, che può utilizzare questi strumenti
per il bene comune o per interessi di parte.

2. Ricostruire la fraternità

La fede in Dio, ricorda l’anonimo autore della lettera agli Ebrei
sta a fondamento dell’agire dell’uomo e del cristiano.
Dell’uomo, perché noi siamo condannati a doverci fidare degli altri
(pensiamo ad un intervento chirurgico, o a un semplice viaggio in un mezzo di trasporto
gestito da terzi, fino al vertice della dimensione fiduciale dell’uomo: il fidanzamento).
La fede-fiducia è la struttura portante delle relazioni umane,
quando essa viene meno la società collassa e il sospetto dilaga.
Questa situazione sociale, che oggi viviamo in tutta evidenza,
fa si che anche la fede in Dio sia più difficile da coltivare.
Parafrasando san Giovanni nella sua prima lettera potremmo dire:
“come posso fidarmi di un Dio che non vedo,
se non posso fidarmi del fratello che vedo?”.
Ecco allora un compito fondamentale per la comunità cristiana
che vive nei territori esistenziali, dove l’uomo vive, lotta, ama, lavora…:
ricostruire il tessuto relazionale,
ricreare l’affidabilità, la fraternità come direbbe Papa Francesco, l’amicizia sociale.
Questo a partire dal proprio interno.
Nulla è più convincente dell’esemplarità.
Non discorsi eloquenti, bensì prassi di vita buona, generativa di rapporti nuovi,
segnati dalla potenza del Vangelo.
Non uccidere significa promuovere la vita in tutte le sue forme,
soprattutto dischiudere gli orizzonti evangelici della vita eterna,
che già da ora inizia per chi vive in Cristo

 

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