11 maggio 2025 - IV Domenica di Pasqua

Omelie festive

Giovanni 13,31-35


1. Tutti chiamati a santità

Per noi cristiani la vita è una chiamata (vocazione) alla santità, cioè
a diventare quegli uomini e quelle donne che Dio ha pensato noi fossimo quando ci ha creati.
Questa vocazione comune all’umanità si diversifica per ogni persona.
In fondo la domanda che dobbiamo porci è semplice: che cosa vuole Dio da me?
A che cosa mi chiama per la mia felicità, affinchè io dia il mio contributo al bene comune,
alla crescita del mondo ed in esso del Regno di Dio?
Dunque, mentre per molti la vita è una rapida corsa verso l’estinzione,
per noi cristiani è la rapida corsa verso un incontro,
che già qui ed ora è possibile seppur in forma velata a misteriosa.
Va ricordato che noi siamo stati abituati a collegare la parola vocazione alle figure dei sacerdoti,
dei religiosi e delle religiose (frati e suore). Era ed è per molti l’interpretazione più corretta
della frase di Gesù: “la messe è molta, ma gli operai sono pochi,
pregate il padrone della messe perché mandi operai nella sua messe” (Matteo 9, 37-38).
E’ vero i sacerdoti mancano, v’è scarsità di seminaristi e vi sono anche abbandoni.
Ma Gesù dice anche altro: gli operai sono soprattutto i fedeli cristiani battezzati,
quelli che chiamiamo i laici nella Chiesa.
Il Vaticano II dice che essi sono chiamati ad annunciare il Vangelo nella vita quotidiana, sul loro lavoro,
nelle realtà mondane. Oggi però c’è bisogno di laici singoli e famiglie che diano nuova linfa
alle nostre parrocchie, lasciando ai sacerdoti i compiti loro propri: l’annuncio della Parola,
i sacramenti e la presidenza dell’eucarestia e della comunità che da essa nasce.

2. Il ministero della Parola

La prima lettura (Atti 21,8b-14) ci presenta la vocazione alla profezia di quattro donne ed un uomo
di nome Àgabo. E’ una chiamata possibile anche oggi.
Occorrono infatti uomini e donne nella Chiesa che abbiano consuetudine
con la Parola di Dio e ci aiutino a calarla nella storia
con la loro parola e con gesti, iniziative lungimiranti, profetiche appunto.
Questo non è appannaggio dei sacerdoti o dei religiosi.
Paolo (Filippesi 1,8-14) ci ricorda che la realizzazione della propria vocazione
passa anche attraverso la fatica e la sofferenza per Cristo sopportata con amore a lui.
Questa è un’alta forma di evangelizzazione, di coerenza.
Quando una persona non si limita a dire,
ma paga di persona la coerenza con quel che dice, non può che suscitare un fascino attrattivo.

3. Il comandamento dell'amore è reciproco

Se all’inizio ho parlato di chiamata universale alla santità, nel Vangelo di oggi
Gesù usa per noi un termine più caldo, più accessibile alla nostra comprensione,
più quotidiano e prossimo alla nostra esperienza: “Voi siete miei amici”.
Egli però pone una condizione per entrare in intimità amicale con lui: fare ciò che lui ci comanda!
Questa seconda frase può, di primo acchito, far irritare la nostra sensibilità democratica
e libertaria. In realtà ciò che Gesù ci comanda è quello che tutti noi vorremmo raggiungere:
la reciprocità nell’amore. Chi non desidera questo?
Il contrario ricopre un ampio spettro che va dall’indifferenza all’odio, dall’inimicizia all’ostilità aperta,
sino all’uso della violenza (vedi la piaga dei femminicidi o dello sterminio della propria famiglia),
nonché alla guerra. Come raggiungere un sano equilibrio tra ricevere o donare amore?
Giovanni suggerisce che la via è rimanere nell’amore di Gesù,
sentirsi da lui amati, percepire nel profondo, nonostante fatiche e dubbi
che non c’è altra modalità per la nostra realizzazione piena.
 

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