Una dieta per l'eternità

Su ali d'aquila

Domenica 21 settembre 2025 • IV domenica dopo il Martirio


La Parola di questa domenica pone davanti a noi una domanda: di cosa ci nutriamo? “Noi siamo quello che mangiamo“dice il filosofo Ludwig Feuerbach, cioè “siamo” alla luce dell’alimentazione che progettiamo e programmiamo per noi. Se guardo allora a questo tempo e a come siamo penso che tante sono le malattie negative, troppe, e alla fine di cosa ci nutriamo? Di negatività visiva, di gesti e di parole che alla fine ci rendono ancora più soli, ancora più inutili, insomma ancora più morti.

La Parola di oggi, invece, ci ricorda la meta del nostro cammino, la meta che Dio desidera per noi: la vita eterna, cioè la vita per sempre nel e con il suo amore. Se questa è la meta, quale è il nutrimento? Il nutrimento, il lievito del nostro cammino è Gesù, la pienezza della sua persona. Nel vangelo di oggi Gesù non sta parlando della liturgia dell’eucarestia, ma di come alla fine è il nutrirci del suo amore, della sua umanità e divinità che noi possiamo tendere alla luce. Tendiamo alla luce quando vediamo come anche il tempo più oscuro e il momento più buio della vita, la morte, sono e possono essere vinti da quella forza dell’amore che continua a vivere in noi, nonostante ogni distruzione e distacco. Per dirci questo Gesù insegna, cioè lascia un chiaro segno, e questo segno è la sua presenza nel pane e nel vino dell’ultima cena e per sempre nell’eucarestia. Capiamo allora che questo nutrimento non è da deviare e non è nemmeno un nutrimento selettivo, cioè per alcuni, “i perfetti” come qualcuno dice. L’eucarestia è per tutti perché è pienezza di quella comunione con l’amore di Dio, è il tendere insieme uomo e Dio all’amore che vince la morte, che vince ogni oscurità.

E’ questa forza di vita che noi siamo chiamati a trasmettere e a vivere. Come? Imparando a curare sia la nostra umanità, chiamata a tornare al modo di amare di Gesù quando stanca e sfiduciata, quando ha fatto indigestione dell’egoismo e non di un donarsi sano che sa Chi deve essere donato; sia la cura di quel segno che Gesù ci ha lasciato, cioè la celebrazione liturgica. Senza una umanità sana, che nei gesti corrisponde a quello che desidera, senza una celebrazione curata e preparata bene, che testimonianza possiamo dare? Non mi meraviglia l’allontanamento di questo tempo: abbiamo e stiamo sbagliando in tanti aspetti, umani e di senso su ciò che vogliamo testimoniare! Senza una cura così, come potremmo dire che il pane e il vino di cui noi ci nutriamo è comunione con il corpo di Gesù, con la pienezza di quell’Amore di Dio che si è rivelato a noi nella nostra povera umanità?

Questa IV domenica dopo il Martirio diventa quindi la domenica della cura della testimonianza. Per curare la testimonianza è necessario l’arte dello scegliere, il discernimento. Oggi preghiamo per il Seminario, luogo di discernimento per quei giovani che si domandano se diventare un giorno preti. Questa arte sia un’arte da imparare, sia per curare i segni santi che Gesù ci ha donato, sia per capire veramente la volontà che ha nella nostra vita, a quale missione di vita cioè chiama ciascuno dei nostri giovani. La comunità non trattiene un giovane, ma lo affida al Signore perché lo spirito compia in lui la missione di vita eterna che il Padre ha pensato. E allora se questo è il nostro compito, affidare a Dio, invochiamo lo Spirito perché questo atto sia curato, preparato, celebrazione viva del trionfo della vita del per sempre nell’Amore di Dio.
 

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