Domenica 14 settembre 2025 - Esaltazione della S. Croce
Quante grida sentiamo tutti i giorni! Ci sono grida di lamento, come quelle degli israeliti davanti a Mosè e a Dio per la fatica che il popolo stava vivendo nell’attraversare il deserto. Ci sono grida di chi soffre a causa della colpa di alcuni, come le grida sempre del popolo causate dal lamento e dal segno che Dio pone. Grida che feriscono, grida che dividono, grida causate dal nostro egoismo.
E poi c’è il grido di Dio. Un grido di indignazione all’inizio della lettura del libro dei Numeri. Un grido che lascia spazio poi al desiderio di donare vita, di essere vita per questo popolo ferito dal suo stesso male. Ecco chi è Dio: colui che grida il dono della vita!
Grida questo dono e ce lo consegna, andando oltre ogni miracolo, ogni guarigione. Sì perché la storia è attraversata da un grido che è origine di ogni altro grido, che compie e procura male: il grido della morte, quel grido che continua in maniera egoista nel mondo a dire che la vita è una sola, che va goduta con il successo, il potere, l’indifferenza. A Dio questo grido non piace, perché è contro la sua logica, è contro la logica con la quale ha creato l’uomo. L’uomo è creato per lodare, riverire e servire Dio nostro Signore e per salvare, mediante ciò, la propria anima; e le altre cose sulla faccia della terra sono create per l’uomo affinché lo aiutino al raggiungimento del fine per cui è stato creato. Così dice S. Ignazio di Loyola nel “Principio e fondamento” dei suoi Esercizi. Cioè l’uomo è chiamato a cooperare al disegno di creazione di Dio, a continuare questa opera di vita che genera vita! Ma se l’ostacolo della morte toglie il respiro della vita, che senso ha la vita dell’uomo?
Ecco il mettersi in gioco di Dio: donare tutto sé stesso nel Figlio Gesù. Gesù nel Vangelo ci dice chiaramente il fine della sua missione: che tutti abbiano la vita, che tutti credano nella Vita che solo Dio può donare nel Figlio, con il suo grido di anelito verso il Padre. E’ in questo grido di vita che persino un centurione pagano e un ladro hanno professato la loro fede. In un momento di squallore e di apparente fallimento si staglia una professione di fede unica: è quel modo di donarsi che scatena nel cuore del centurione e prima del buon ladrone la espressione spontanea della fede. Questo episodio ci porta a dire che nessuno si può permettere di giudicare la fede di Qualcuno, anche del più atroce dei criminali, perché solo Dio può compiere un atto di conversione ultimo come quello che i vangeli ci descrivono. Il nostro giudizio diventa gioco di colui che diffida della Vita eterna e per sempre che Dio desidera donarsi, il nostro giudizio diventa il grido scandaloso che ci allontana tra noi e dall’agire santo di Dio.
Gesù Cristo è Signore. La professione di fede di Paolo ci dice che anche noi, che tutti possiamo sperimentare la grazia della salvezza, la grazia del grido di Vita che il Figlio ha sperimentato nel momento ultimo della vita terrena, nell’abbandonarsi fiducioso al Padre trasformando la sua morte in una luce nuova per tutti. Per sperimentare questa salvezza, però, siamo chiamati tutti a vivere quello svuotarsi di Gesù, quella umiltà che trasforma il dono che siamo in un atto di abbandono totale e fiducioso. E’ solo questo abbandono che può rendere la nostra vita unica e nell’essere unica capace veramente di essere un grido di Vita, anelito al Padre, desiderio di amare nello Spirito del Figlio Gesù.