Domenica 20 luglio 2025 - VI Domenica dopo Pentecoste
Quante volte quando siamo in montagna e vediamo un sentiero difficile ci domandiamo: ce la faremo? Quante volte ci capita di fronte alle difficoltà piccole e grande della vita che un certo scoraggiamento inizi a pervadere quello che siamo. Uno scoraggiamento che ci porta a rifiutare noi stessi, che ci porta a sentirci inadeguati di fronte alla situazione.
Lo stesso scoraggiamento lo hanno vissuto Elia e Maria. Elia di fronte a un popolo che non crede in Dio, che non corrisponde alla sua Parola e nel sentirsi inadeguato a essere profeta di questo popolo. Maria nel suo essere madre lì davanti a quel figlio che ha generato che sta morendo sulla croce. E allora cosa ha sorretto la fragilità di Elia e di Maria lì nel momento della prova? La risposta ce la sta donando la preziosa testimonianza di Elisabetta della Trinità: la fede. La fede in quel Dio che invita il cuore a non fossilizzarsi di fronte al male e alle sue prove, la fede in quel Dio che non smette di invitarci a confidare nella sua mano pronta sempre a sorreggerci. E’ lasciandoci prendere interiormente dalla mano di Dio che possiamo affrontare ogni salita della vita, anche le più difficili, se però, nel nostro affanno di “autosalvezza”, impariamo a lasciare spazio alla sua salvezza, l’unica che può raccontare chi è l’uomo: amato dal Padre, fratello tra fratelli! Elia e Maria si sono lasciati prendere per mano da Dio: la preghiera interiore è diventata sprone alla costruzione della comunità.
C’è una immagine che colpisce i nostri occhi in questi giorni: la croce della Chiesa di Gaza che è rimasta in piedi, lì nella sua posizione, dopo il vile bombardamento degli ultimi giorni. Quasi dire: nonostante la vostra follia umana io rimango qui, con quella fede e speranza che porto. Scrive una giovane che vive a Gerusalemme:
Fede e carità sono le parole che rappresentano al meglio la comunità di Gaza ma anche la comunità presente a Gerusalemme in Terra Santa. Però io vorrei aggiungere una parola, coraggio.
Padre Gabriel, il Cardinale Pizzaballa, il cancelliere Don Davide, Padre Ibrahim Faltas, il custode uscente Padre Francesco Patton e anche il Patriarca Teofilo. Tutti esseri umani con personalità diverse ma impegnate a proteggere il loro gregge, come sta facendo la Croce sulla chiesa di Gaza e come sta facendo Dio dall’alto.
Padre Gabriel il pastore buono che ferito va subito a controllare i suoi parrocchiani che vengono portati via nelle barelle e che va a controllare come sta il giovane Suheil, un prete, un padre attento e dolce sempre rivolto alla sua comunità. Il Cardinale Pizzaballa che non vuole abbandonare i suoi fedeli e insieme al Patriarca Teofilo ha sfidato tutto per entrare nella Striscia ed abbracciare tutta la comunità cristiana portando con sè gli aiuti umanitari. Don Davide che segue tutto, coordina, aiuta, preso da mille impegni che porta sempre con sè un sorriso e si ricorda ogni piccola cosa di tutti noi, della sua comunità e rivolge sempre una parola di conforto a chiunque incontri. Padre Ibrahim che si prende cura ogni giorno delle sue pietre vive, anche di quelle più sfortunate come i piccoli che sono stati portati fuori dalla Striscia per farsi curare. Padre Patton che con la sua spiritualità e saggezza ha saputo far passare messaggi importanti su quello che sta succedendo. Grandi personalità, persone che hanno dedicato la vita alla chiesa e agli altri, soffrendo insieme al loro gregge, ascoltando le persone che hanno intorno e cercando sempre di aiutare per quanto sia possibile.
Allora come cristiana mi sono fatta questa domanda. Io ho avuto sempre il coraggio di rimanere in piedi come cristiana davanti alle difficoltà che stiamo vivendo? Ho mai avuto paura o vergogna di far passare la mia testimonianza? Quando guardo la croce che è rimasta in piedi mi sento degna di rappresentarla seppure nel mio piccolo?
Le risposte possono essere tante, dal mio cuore mi sento di poter rispondere che anche con errori, a volte paure, sono felice di poter far conoscere quello che succede qui e far vivere la testimonianza della presenza cristiana qui. Nel bene e nel male, nelle cose difficili e nelle cose più semplici. In questi giorni però mi sento fiera di far parte di questa comunità perché è rappresentata da persone che stanno facendo molto per gli esseri umani che vivono qui. Nella loro semplicità, nel loro silenzio, nel loro dimostrarsi umili.
Forse non per tutti l’aver colpito una chiesa è una notizia così grande, forse alcuni malevolo penseranno eh perché sono cristiani sono privilegiati. No, non lo siamo, soffriamo insieme alle altre persone qui, dobbiamo superare anche noi tante prove e forse a volte dovremmo alzare un po’ la nostra testa e prendere forza dalla Croce che è rimasta in piedi per proteggerci tutti.
Questo è oggi il nostro Carmelo, il monte su cui rinsaldare la nostra fede e ripartire per un annuncio più autentico e di Chiesa. Essere discepoli di Gesù nel segno della Beata Vergine del Carmelo vuol dire proprio questo: essere una Chiesa che si impara a prendere cura del legame con Cristo e in Cristo capace di generare quella comunione che raccoglie diverse esperienze, ma le conduce unicamente a lui. Dobbiamo superare tante e forse troppe e sciocche resistenze che non ci rendono Chiesa nella piccolezza. Lasciamo che sia proprio Maria con la sua fede a sostenerci nel sostare davanti alla croce, non per dire che stiamo vivendo una fine, ma un nuovo inizio, un nuovo modo di camminare, di essere Chiesa di Gesù, Chiesa capace di sostenere veramente l’uomo perchè sia vero e autentico discepolo vivo in Cristo Gesù!