Per una comunità fraterna

Su ali d'aquila

Domenica 18 maggio - V Domenica di Pasqua


Come è bello che i fratelli vivono insieme. Le parole del Salmista sono un bel pugno nello stomaco, ci interrogano e ci domandano se questa parola è vera, se veramente il nostro modo di essere comunità, Chiesa è quello dei fratelli che si vogliono veramente bene, che veramente si prendono cura gli uni degli altri.

Un pugno quello che ci lancia il salmista che diventa ancora più forte e doloroso se ci mettiamo in ascolto del Vangelo, con quella firma che Gesù ci lascia nell’Ultima cena: Come io ho amato voi, così vi dovete amare. Da questo sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri. Nel contesto drammatico della cena, contesto che precede la sua passione e la sua morte, Gesù lascia come eredità vivente e parlante la cifra del suo ministero terreno: il suo modo di amare. Si può amare in diverse maniere, anche in maniera violenta, purtroppo, anche vantandosi e mettendo sempre al centro il nostro orgoglio. Il modo di amare del discepolo, invece, è quello di Gesù, quello che si piega, si sporca le mani, compiendo addirittura i gesti dello schiavo, chiamato a lavare i piedi. Non solo. Le mani di Gesù condividono, spezzano un dono anche a chi non se lo dovrebbe meritare, come Giuda, come Pietro. Il modo di amare di Gesù guarda oltre le apparenze, vede in Simone non un pescatore, ma la pietra su cui fondare la Chiesa, vede in Maria di Magdala la prima evangelizzatrice della storia, colei che porterà l’annuncio della risurrezione, vede in Zaccheo l’uomo più generoso di Gerico. Questo è il come di Gesù, l’avverbio che fa la differenza! Il modo di amare di Gesù cerca sempre di far risuscitare l’uomo, di tirarlo fuori da uno stato di morte, da uno stato che paralizza l’uomo. Il modo di amare di Gesù ha il sapore vero e autentico della sua risurrezione perchè mette al centro non sé stesso, ma l’uomo, il senso della missione, e il senso è che la notte, il male non possono prevalere, la morte non è l’ultima parola, ma la vita, anche se questa può sembrare debole, fragile, perdente.

E allora quale è la scommessa per una comunità fraterna? Che il vero bene non sia la mia persona, l’emergere del mio io, di quello che faccio, sono. Il vero bene, invece, è vedere che ciò in cui credo, ciò che è la mia vita, diventa una stella, una luce di speranza per i fratelli e le sorelle accanto a me, per coloro che sono chiamato ad accompagnare e servire, per quel povero che ancora non crede in Cristo, insomma per tutti. La nostra vera gioia non è l’emergere di noi stessi, ma il vedere brillare la gioia e il bene della vita di tutti. E’ così che il profumo di Cristo continua ad arieggiare la Chiesa, è così che la Chiesa continua a essere viva: se non si dimentica della sua vocazione a essere comunità di fratelli e sorelle, se non si dimentica che il primo comandamento è la Carità! La Carità che brilla sempre di quella verità senza mezze misure che è Cristo. Chi ama non sta nelle mezze misure, chi ama non accondiscende il male e la menzogna, chi ama sta e si fonda sempre nella ricerca della verità, nel modo di Cristo Gesù. E’ questo modo che rende la nostra fraternità vera, viva, capace di essere testimonianza del risorto.

E allora, più che un pugno, questa Parola diventa un atto di amore su cui tornare, su cui fondare e rifondare ogni nostro gesto e le nostre vocazioni, perchè il nostro modo di amare sia sempre quello di Cristo, mettendo al centro la risurrezione, il desiderio di una vita vera per tutti! Questo vuol dire essere fratelli, questo vuol dire essere veri e vivi!
 

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